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Assenza ingiustificata equiparata alle dimissioni.

Il Tribunale del lavoro di Udine entra a gamba tesa in una prassi ormai sempre più diffusa, ossia assentarsi dal lavoro senza fornire alcuna giustificazione per indurre, così, il datore di lavoro a licenziare per assenza ingiustificata.


Censurando tale comportamento, che comporta ricadute di ordine economico sia per il datore, sia per le finanze pubbliche, la sentenza del maggio scorso sancisce che il comportamento assunto dal prestatore è equiparabile all’abbandono del posto di lavoro con la conseguenza della risoluzione di fatto del rapporto a prescindere dal rispetto delle procedure telematiche.

Secondo il Giudice l’assenza ingiustificata la volontà indiscutibile di non dare più seguito al contratto di lavoro lasciando presumere che l’intento perseguito sia quello di conseguire illegittimamente l’indennità Naspi, riconosciuta nella sola ipotesi di disoccupazione involontaria.


Il Tribunale friulano ha confermato la validità di una risoluzione del rapporto di lavoro, avente come causale “dimissioni”, comunicata da un datore di lavoro al competente Centro per l’impiego a niente rilevando, in questo caso, l’obbligo di formalizzazione delle dimissioni solo con modalità telematiche.


Pur utilizzando la massima cautela non possiamo fare a ameno di rilevare che stavolta il giudice, focalizzando l’attenzione sulla “condotta del lavoratore dalla quale emerge inequivocabilmente la volontà di interrompere il rapporto” piuttosto che sull’atto formale che ne legittima la risoluzione, affronta una questione di estrema rilevanza nella prassi quotidiana di gestione dei rapporti di lavoro.


Fino ad oggi, infatti, il datore di lavoro, per interrompere tali rapporti, doveva assumersi rischi, vedasi rischio di impugnazione del licenziamento, e costi, si pensi ai tempi di attesa per le notifiche delle raccomandate per compiuta giacenza ed al cd ticket licenziamento.


Ne possiamo dimenticarci i risvolti sociali negativi di quanto accaduto fino ad oggi, una diversa interpretazione, rispetto a quella prospettata dal giudice, continuerebbe a costituire, infatti, un costo eccessivo e non giustificato a carico della collettività.

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