Dimissioni per fatti concludenti
- Studio Casadio
- 6 giorni fa
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L’istituto delle c.d. “dimissioni per fatti concludenti”, previste dal collegato lavoro ed in vigore dal 12 gennaio 2025, novità di spicco dell’anno in ambito giuslavoristico, è stato oggetto di necessari chiarimenti ministeriali negli ultimi giorni di Marzo.
L’assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal CCNL applicato al rapporto lavorativo ovvero, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a 15 giorni, può condurre alla risoluzione del rapporto di lavoro. Per realizzare l’effetto risolutivo, il datore di lavoro è tenuto a darne comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato Nazionale del lavoro che può verificarne la veridicità.
I chiarimenti diramati dal Ministero consentono di chiarire alcune perplessità sollevate nel primo periodo di vigenza della norma.
Per quanto riguarda la durata dell’assenza viene precisato che, in mancanza di diverse disposizioni contrattuali, i giorni sono da intendersi di calendario e la comunicazione di recesso potrà essere inviata a partire dal 16mo giorno, eventuali diverse disposizioni dei CCNL si applicheranno solo se favorevoli al lavoratore ovvero superiori al termine legale.
La comunicazione, da inviarsi alla DTL competente in base al luogo di svolgimento del rapporto di lavoro, deve indicare tutti i contatti e i recapiti forniti dal lavoratore e deve essere recapitata anche a quest’ultimo per consentirgli di agire a tutela dei propri diritti.
Dalla data di effettuazione della stessa decorrono i 5 giorni previsti per trasmettere la comunicazione obbligatoria di cessazione del rapporto lavorativo.
E’ importante evidenziare che le conseguenze disciplinari previste dai CCNL, derivanti da un’assenza ingiustificata protratta nel tempo, di durata variabile, anche di gran lunga inferiore ai 15giorni previsti dal Collegato Lavoro, rilevano solo ai fini dell’attivazione della procedura di licenziamento per giusta causa e non ai fini delle dimissioni di fatto.
La procedura telematica di cessazione a seguito di dimissioni per fatti concludenti diventa inefficace se il datore di lavoro riceve successivamente la notifica dell’avvenuta presentazione delle dimissioni, anche per giusta causa, da parte del lavoratore.
A seguito della cessazione del rapporto, il datore può trattenere al lavoratore l’indennità di mancato preavviso contrattualmente stabilita.
Per evitare la risoluzione del rapporto, il lavoratore deve fornire la prova dell’impossibilità di comunicare le motivazioni dell’assenza al datore di lavoro ovvero la circostanza di averli comunicati, il datore può rispondere anche penalmente per falsità delle comunicazioni rese all’Ispettorato territoriale.
E’ superfluo evidenziare che la disciplina esaminata non si applica alla risoluzione consensuale del rapporto per le lavoratrici in gravidanza e per lavoratrici e lavoratori nei primi 3 anni di vita/accoglienza del minore.
L’intero istituto, concepito per evitare una prassi abituale di assenze a ripetizione miranti ad ottenere prestazioni indebite a danno delle casse dell’erario e delle imprese, esce fortemente ridimensionato, ben al di la del volere del legislatore, in quanto il termine minimo fissato, 15 giorni, cinque volte maggiore di quello previsto dalla generalità dei CCNL, obbliga le imprese ad instaurare dei procedimenti disciplinari prima di arrivarci.
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