Quando parliamo di pensione viene naturale a tutti, ma in particolar modo ai più giovani, pensare a qualcosa di indefinito che non è possibile collocare nel tempo vista la velocità con cui cambiano, ahimè sempre in peggio, le regole.
Questa tendenza irreversibile ha spinto il legislatore a introdurre una misura che consente ai lavoratori di riscattare ai fini pensionistici, tra il 1° gennaio 2024 e il 31 dicembre 2025, periodi non coperti da contributi previdenziali, c.d. “buchi contributivi”.
Questa facoltà, si rivolge a specifiche categorie di lavoratori e offre la possibilità di colmare i periodi contributivi mancanti, con oneri che possono essere sostenuti anche dal datore di lavoro.
L’anzianità contributiva acquisita dal lavoratore attraverso il riscatto vale ai fini del conseguimento del diritto alla pensione e per la determinazione della sua misura.
I destinatari devono essere iscritti all’assicurazione generale obbligatoria (AGO) per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti (IVS) dei lavoratori dipendenti e alle forme sostitutive oppure alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, imprenditori, coltivatori diretti, coloni e mezzadri, imprenditori agricoli professionali) o alla Gestione separata, privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 e non titolari di pensione.
Il riscatto può coprire fino a un massimo di cinque anni anche non continuativi per periodi compresi tra il 1 gennaio 1996 e il 31 dicembre 2023..
Si precisa, inoltre, che i periodi riscattabili sono soltanto quelli non soggetti a obbligo contributivo, pertanto, non possono essere riscattati periodi nei quali è stata svolta attività lavorativa con obbligo di versamento contributivo, ma non siano stati versati i contributi.
L’onere per il riscatto viene calcolato con il metodo contributivo, applicando l’aliquota contributiva in vigore alla data della domanda nella gestione pensionistica nella quale opera il riscatto sulla base di calcolo, costituita dalla retribuzione assoggettata a contribuzione nei dodici mesi precedenti o più prossimi alla data della domanda.
Il riscatto dei periodi non coperti da contribuzione può essere considerata una misura di welfare nella misura in cui nel settore privato i premi di produzione spettanti al lavoratore possono essere utilizzati per la copertura del costo del riscatto e, quindi, “trasformati” in versamenti contributivi a fini pensionistici.
L’importo da versare per la copertura dell’onere del riscatto può essere corrisposto in un’unica soluzione o rateizzato fino a un massimo di 120 rate mensili, senza interessi.
Se il riscatto è effettuato dal datore di lavoro versando il premio di produzione del lavoratore, i contributi versati per il riscatto non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente del lavoratore e non sono soggetti a contribuzione non solo del lavoratore, ma anche del datore di lavoro mentre l’importo versato è comunque deducibile dal reddito d’impresa o dal reddito di lavoro autonomo.
Questa misura rappresenta un’opportunità significativa per i lavoratori di colmare i periodi contributivi scoperti, migliorando così la loro posizione pensionistica, eventualmente anche con il sostegno economico del datore di lavoro.
La legge non fornisce la definizione di “premi di produzione spettanti al lavoratore”, ne richiama precedenti disposizioni più ristrettive al punto che non prevede neanche che tali premi siano rivolti alla generalità o a categorie di dipendenti, né che derivino da contratti collettivi di secondo livello.
Il datore di lavoro può, dunque, decidere di premiare anche un singolo lavoratori o alcuni lavoratori e questa libertà di manovra facilita l’adozione di questa misura come strumento di welfare aziendale.
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